Il successo delle auto elettriche in Norvegia è un dato di fatto, al punto da far diventare il Paese del nord Europa un caso di studio per immaginare come la transizione da motori a combustione a quelli elettrici, possa avvenire nel mondo dei trasporti.
Proprio questa attenzione porta alla luce un potenziale problema, che si sta verificando nel Paese, in relazione alla distribuzione di elettricità nelle zone periferiche, vediamo perché partendo dall’inizio.
Il caso Norvegia, la patria dei veicoli elettrici
Come sappiamo la Norvegia è da anni decisamente all’avanguardia in Europa nel campo di facilitazioni, incentivi e infrastrutture pubbliche per le elettriche. Le elettriche per anni non hanno pagato l’Iva, possono circolare nelle corsie riservate ai bus, possono parcheggiare senza pagare la sosta, non pagano neppure la congestion charge ove prevista.
Già nel 2013 il Paese contava 3.500 punti di ricarica e 100 stazioni a ricarica rapida. I nostri lettori ricorderanno poi come sia accaduto che nientemeno che la Tesla Model S sia diventata per un certo periodo l’auto più venduta in Norvegia e che abbia poi battuto i suoi stessi record di vendite uno dopo l’altro.
Non a caso la Norvegia è stato il Paese da cui Tesla ha scelto di iniziare le vendite europee della vettura, e dove ha iniziato a installare le prime stazioni Supercharger europee. Già nel 2013 le elettriche rappresentavano ben il 12% del mercato norvegese.
Nel 2014, trainate dalle vendite della Model S ma anche favorite dai generosi incentivi del governo, erano arrivate addirittura al 21% del mercato. Nel 2016 la percentuale è arrivata al 30% a livello nazionale e a più del 40% se si considera la sola Oslo.
Nel 2017 a livello nazionale si è superato il 50%. Per la precisione, il 20.9% di tutte le auto private vendute nel 2017 erano elettriche pure o (poche) auto a idrogeno (in crescita dal 15.7% del 2016), mentre il 31.3% erano ibride: 18.4% ibride plug-in e 12.9% ibride convenzionali. A Oslo nel 2017 la quota elettriche+ibride ha sfiorato il 50%. A Bergen, la seconda maggior città del Paese, il 10% del parco vetture circolante è già oggi elettrico
Obiettivo Norvegia: auto a zero emissioni entro il 2025
Il Paese si è dato l’obiettivo di vendere solamente auto a zero emissioni dal 2025. La conseguenza stimata di questo trend di vendite fortemente sussidiato è che nel 2030 il 40-50% del circolante sarà ormai diventato a zero emissioni. Ogni auto termica che viene sostituita con una a zero emissioni comporta mediamente un taglio di 2 tonnellate all’anno di emissioni di CO2.
Anche se gli exploit di vendite della Model S sono stati memorabili, anche la Nissan LEAF ha avuto momenti molto brillanti sul mercato norvegese; situazione comunque molto fluida; a settembre 2017 per esempio leader delle elettriche è stata la e-Golf, tallonata dalle solite Tesla e dalla i3. Curioso notare che in tale mese, solo il 14% delle Golf vendute su quel mercato avevano motore termico (benzina o diesel).
In Norvegia il prezzo dell’energia elettrica è inoltre inferiore rispetto a quello di diversi altri Paesi europei.
Non il numero di auto e la generazione di energia, ma le infrastrutture possono rappresentare un problema
Con questa raffica di primati e di politiche coraggiose e generose a favore dello sviluppo della modalità elettrica, si è messo in moto un imponente trend che ora sta cominciando, paradossalmente, a causare i primi guai, ma non dal numero di auto circolanti, quanto dalla rete di distribuzione non adeguata.
Le statistiche dicono infatti che nel Paese circolano ormai ben oltre 100mila veicoli elettrici o plug-in (il dato più recente ufficiale pubblicato è di 138.829 elettriche al 22 marzo 2018). Ebbene, la generazione elettrica (quasi esclusivamente idroelettrica in Norvegia: nel 2011, su 128 TWh di generazione totale, 122 TWh erano idroelettrici, e la domanda annuale nazionale si aggira sui 115 TWh) riesce a coprire ed eccedere il fabbisogno.
Visti i trend, nel 2021 il 20% di tutto il parco circolante in Norvegia dovrebbe, realisticamente, essere costituito da auto elettriche. Se anche fossero tutte delle EV ad alte prestazioni e tali da incoraggiare uno stile di guida energivoro (quantificabile in 350 Wh/km), il loro consumo energetico annuo complessivo ammonterebbe a 2.36 TWh circa.
Con una produzione nazionale norvegese di 128 TWh/anno, si tratta dell’1.85% dell’energia elettrica disponibile. Se per ipotesi tutte le attuali auto norvegesi diventassero improvvisamente elettriche ad alte prestazioni, il fabbisogno aggregato non supererebbe il 5-6% della disponibilità totale di energia elettrica.
(Situazioni simili si avrebbero in California e in Giappone nel caso in cui un 10% di tutto il parco circolante fosse rappresentato da elettriche: l’energia richiesta da tali auto costituirebbe l’8% della generazione in California, o il 3.4% di quella in Giappone).
Non vi è quindi, nemmeno alle viste, un problema di insufficiente generazione. Però secondo diverse testimonianze, come quella di Christina Bu della Norwegian Electric Vehicle Association, comincia piuttosto a delinearsi un problema di capacità distributiva periferica della rete.
Non ci riferiamo tanto al numero di colonnine pubbliche di ricarica ad alta velocità; la Norvegia ne ha oggi 850 e prevede di arrivare a 4000 nel 2020, così da rispettare una proporzione, ritenuta corretta in quel Paese, di 1 colonnina fast charge ogni 100 auto elettriche in circolazione. Il problema non è di numerosità di punti di prelievo, ma è di sostenibilità del carico sulla rete periferica.
Per esempio, progetti immobiliari in cui una casa in zona isolata viene trasformata in un gruppo di abitazioni indipendenti, i cui abitanti in buona parte possiedono un’auto elettrica che si aspettano di poter ricaricare a 22 kW, significa che la linea elettrica verso quel luogo è sottoposta a un carico per il quale non era assolutamente stata progettata. Fusibili che saltano, oscillazioni di tensione e fluttuazioni nell’intensità dell’illuminazione stradale comincerebbero a essere fenomeni non così rari in zone con situazioni come quella descritta.
Come superare il problema con sistemi di accumulo
Un upgrade della rete è costoso e, nel breve termine, impraticabile. Come approccio per risolvere rapidamente il problema si starebbe quindi pensando di disseminare per la rete dei sistemi di batterie per accumulare energia: questa verrebbe prelevata dalla rete con un carico moderato ma costante, e fornita all’occorrenza in modo molto rapido, così da “tosare” i picchi di carico verso il “core” della rete che si verificano quando un’auto elettrica cerca di ottenere una ricarica rapida.
Concettualmente è la stessa cosa che si sta facendo in Germania e di cui abbiamo già parlato, però con impianti sparsi per la periferia della rete anziché centralizzati.
In teoria anche la cessione (all’occorrenza) di energia dalle batterie dei veicoli fermi verso la rete, il cosiddetto Vehicle-to-Grid (V2G) è un fattore di stabilizzazione e di smorzamento dei picchi di consumo; tuttavia resta desiderabile che la batteria di un’auto elettrica collegata alla rete si carichi, e non che si scarichi.
Questo suggerisce di non fare troppo affidamento sul V2G e di installare invece dei sistemi di accumulo a batteria aggiuntivi rispetto alle batterie dei veicoli parcheggiati; tali sistemi sono dedicati espressamente alla stabilizzazione della rete o alla mitigazione dei picchi di domanda che superando la capacità distributiva della periferia metterebbero in crisi linee e impianti.
Immagine di apertura elaborata da Flickr (Public Domain Mark 1.0)
[…] Non è tanto la quantità di energia che un numero sempre più alto di auto elettriche richiede, quanto la distribuzione che non sempre è adeguata alle richieste sopratutto in zone periferiche. Vediamo cosa sta accadendo in Norvegia — Leggi su http://www.greenstart.it/troppe-auto-elettriche-per-la-rete-elettrica-il-caso-norvegia-13535 […]