Tesla inaugura le sue prime tre stazioni di ricarica rapida lungo le autostrade fra Washington DC e Boston ed invita il New York Times a provarle con un viaggio a bordo della Tesla Model S, ma il racconto del giornalista non corrisponde alle speranze del costruttore. Che indaga e scopre che…
Che il principale tallone d’Achille delle auto elettriche sia ancor oggi l’autonomia è cosa ormai nota anche ai sassi. Che con temperature estreme le cose si complichino ulteriormente per le batterie al Litio, anche.
Questo significa che affrontare “in apnea” con un’auto elettrica un viaggio autostradale alle tipiche distanze interstatali americane è praticamente fuori dalle possibilità tecniche attuali, anche dei modelli più avanzati come la costosa e raffinata Tesla Model S, che pure monta batterie da ben 85 kWh.
Per farcela, occorre potersi appoggiare ad una rete di centri di ricarica lungo la strada, tutta da costruire. E, naturalmente, la ricarica in ognuna di queste soste non può certo richiedere ore, altrimenti si terrebbe una media oraria migliore viaggiando con un calesse.
Proprio Tesla ha preso l’iniziativa, realizzando prima 6 stazioni “Supercharger” in California e ora le prime 3 anche sulla costa orientale, fra Washington DC e Boston. In questi centri di ricarica si può fare gratis il pieno di energia ad alta velocità (ricarica a 480V). L’obiettivo dichiarato è quello di ricaricare metà capacità della batteria in mezz’ora, aggiungendo 240 km di autonomia per poter ripartire verso la successiva stazione di ricarica.
Però bisogna riuscire ad arrivarci, a questa stazione di ricarica.
E d’inverno tutto si complica per molti fattori: l’efficienza delle batterie cala; nei periodi di sosta l’auto deve attingere all’energia delle batterie per mantenerle al giusto livello di temperatura; durante la marcia il guidatore ovviamente attiva il riscaldamento che drena altra energia. Così il rischio è che le stime di autonomia del trip computer si possano rivelare troppo ottimistiche, o che semplicemente parcheggiare l’auto senza ricarica per una sosta al freddo “troppo” lunga possa far sfumare quei chilometri di autonomia che servirebbero per arrivare alla prossima stazione di ricarica, trasformando il viaggio in una specie di incubo vissuto col fiato sospeso e gli occhi fissi alle minacciose segnalazioni del trip computer, con il rischio di restare a piedi al gelo a metà strada, ovviamente senza riscaldamento e con una serie di brutte sorprese, come il freno di stazionamento (attuato elettricamente anch’esso) che non si sblocca finchè non viene ricaricata la batteria, così perfino il carro attrezzi, ammesso abbia un verricello sufficientemente potente, è costretto a far strisciare l’auto con ruote bloccate per caricarla a bordo..
Questo è il tipo di esperienza emerso nel resoconto pubblicato dal giornalista del New York Times, ma evidentemente non è piaciuto al costruttore, specie in questo periodo in cui, secondo il Wall Street Journal, gli investitori ed analisti di Borsa stanno tenendo attentamente d’occhio i numeri della società, in particolare i volumi produttivi, che si ritiene debbano arrivare almeno a 400 Model S prodotte alla settimana per poter raggiungere il punto di pareggio. Il quarto trimestre 2012 è considerato da un analista quello cruciale per la valutazione delle prospettive di sostenibilità del business della società. E’ quindi comprensibile l’irritazione di Elon Musk nel leggere le graffianti e poco incoraggianti considerazioni del reporter del New York Times dopo il viaggio a bordo della Model S.
Il punto non è una critica alle qualità del modello in sè: anzi nel test vettura effettuato a settembre 2012 dallo stesso New York Times, la vettura aveva suscitato un’ottima impressione generale, anche sulle prestazioni e qualità stradali, e raggiunto un’autonomia di 480 km (con batterie da 85 kWh).
Nel nuovo test autostradale l’enfasi era sulla rete di centri di ricarica rapida ed aveva, se possibile, una valenza ancora più importante del test di uno specifico modello di vettura: in gioco c’era la credibilità del modello di utilizzo extraurbano e interstatale di un’auto elettrica tecnicamente avanzata. E la cattiva impressione trasmessa dall’articolo circa una certa immaturità dei tempi indebolisce, anche se solo per il breve termine, la credibilità generale del business delle auto elettriche, spostando avanti di qualche anno il momento del “prime time”, cosa che Tesla teme ancor più strategicamente di una ipotetica cattiva recensione di un proprio modello.
Leggere su un sito della notorietà del New York Times il diario di un viaggio fatto con il cuore in gola, a bassa velocità per economizzare energia (su un’auto sportiva da 100mila dollari con una batteria Litio-Cobalto da più di mezza tonnellata di peso viene da chiedersi a che cosa servano alte prestazioni se si è poi costretti a dimenticarsele e a centellinare ogni elettrone durante la guida per riuscire a completare un viaggio normalissimo per una qualsiasi termica) e punteggiato da complicazioni, ritardi e brutte sorprese, come l’autonomia che durante una notte di parcheggio cala da 90 a 25 miglia solo per l’energia spesa dalle batterie per mantenersi in temperatura; o come la necessità di telefonare varie volte a Tesla per un parere sul da farsi o su come interpretare le minacce del trip computer, fino all’episodio clou, in cui il reporter rimasto a piedi a meno di 8 km dalla stazione di ricarica deve ricevere l’intervento di un carro attrezzi per essere trasportato di peso (con i freni di stazionamento elettrici bloccati) alla stazione di ricarica più vicina, non senza un velato sarcasmo finale sull’abbigliamento consigliato al successivo tester, non è cosa che possa far piacere a chi si proponeva di promuovere il connubio fra vettura e rete di ricarica.
E così non stupisce che Elon Musk abbia voluto studiare il caso, scoprendo alcune discrepanze tra il racconto del giornalista e i dati di viaggio risultanti dal log dei sistemi della vettura. Secondo lui, il reporter non avrebbe davvero mantenuto una velocità moderata, ma avrebbe superato anche i 120 km/h durante il test; non avrebbe caricato completamente le batterie come raccomandato; e avrebbe fatto una “lunga deviazione” nel traffico di Manhattan rispetto all’itinerario previsto lungo le interstatali.
Ha quindi lanciato una serie di tweet denunciando questi fatti, promettendo di divulgare i log di bordo e di spiegare che cosa è successo esattamente, nonchè di organizzare una ripetizione dello stesso test con altri giornalisti. Il New York Times ha replicato che l’articolo si atteneva completamente ai fatti, che forniva una dettagliata descrizione del viaggio esattamente così come si era svolto, e che il giornalista si era attenuto alle istruzioni ricevute nelle varie comunicazioni con lo staff Tesla.
Certo Tesla, che ha annunciato un piano per arrivare nel 2015 a 100 stazioni Supercharger (dalle attuali 9, solo 3 delle quali sulla costa Est scenario di questo test drive-odissea) avrebbe forse fatto meglio ad attendere di aver aperto almeno un altro paio di stazioni di ricarica lungo la tratta della costa orientale, o ad attendere una stagione con temperature meno rigide. Così invece ha osato troppo (ansia di fornire al più presto messaggi trionfali agli analisti?) finendo in una situazione che di fatto, nella prima impressione del lettore, mette in cattiva luce, paradossalmente, più la vettura che le circostanze del test o l’insufficienza delle infrastrutture di ricarica. Oltre a scatenare una pericolosissima guerra con i media..
Ma sul blog Tesla si approfondisce l’argomento e in un prossimo articolo ritorneremo per vedere cosa propone la casa di Elon Musk.