Come funziona e quali sfide presenta la tecnologia a induzione per la ricarica dei veicoli elettrici, le potenzialità e i dubbi su una tecnologia allo studio nei laboratori Bombardier
La tecnologia di ricarica a induzione, wireless, senza fili, non è una novità. Su piccola scala è stata già implementata da alcuni anni per esempio nel Powermat, la tavoletta di appoggio in grado di ricaricare cellulari o iPod senza problemi di cavi e adattatori, ma semplicemente riponendo il dispositivo sull’area attiva.
L’idea ovvia è di applicare lo stesso tipo di soluzione alla ricarica delle batterie di un veicolo elettrico.
Naturalmente la sfida non è banale perché le grandezze fisiche in gioco sono molto maggiori. La capacità della batteria per autotrazione, indicativamente 1.000 volte maggiore rispetto a quella della minuscola batteria al litio di un cellulare, richiede, per una ricarica completa, di trasferire un’energia di decine di KWh e questo in tempi preferibilmente brevi, per ragioni di praticità. Inoltre, per ragioni tecniche e di sicurezza, è preferibile che il sistema di ricarica a induzione sia pensato per agire su brevi distanze e con fasci ben circoscritti. Ma mentre il cellulare può essere appoggiato sulla base di ricarica, cosicché la distanza tra antenna trasmittente e ricevente sia di pochi millimetri e la direzione di emissione ben determinata, lo stesso non vale per un veicolo, a meno di non utilizzare accorgimenti particolari.
Diverse innovazioni introdotte da Bombardier nel suo sistema Primove mostrano però che l’idea può funzionare. Interessante soprattutto l’idea di gestire la ricarica sia in stazione fissa (parcheggiando l’auto elettrica in una piazzola opportunamente attrezzata) sia in marcia, a condizione che sotto il manto stradale siano annegate le spire conduttrici necessarie per generare il campo elettromagnetico al passaggio del veicolo (il campo viene poi spento dopo il passaggio).
Il caso dei tram
Bombardier ha studiato l’applicazione della soluzione anche ai mezzi pubblici: un tram elettrico consuma corrente durante le fasi di accelerazione e ne recupera una parte in frenata; il resto deve essere fornito dalla rete e costituisce il vero fabbisogno energetico del veicolo. Perché non fornire questo fabbisogno ricaricando le batterie di bordo ad ogni fermata mentre i passeggeri salgono e scendono dal tram? Si parla, non a caso, di “opportunity charging“. Naturalmente si deve far presto, perche’ la durata di una fermata è piuttosto breve, dell’ordine dei 20 secondi, quindi il flusso energetico deve essere molto intenso e le batterie di bordo devono essere capaci di assorbire molto rapidamente l’energia ricevuta. Dato il poco tempo a disposizione, il flusso energetico in fase di carica è assai maggiore di quello in fase di scarica (per la propulsione).
Secondo le informazioni riportate sul sito del produttore, il sistema è in grado di trasferire al veicolo una potenza di ben 400 kW. Durante i 20 secondi della tipica fermata di tram, l’energia trasferita ammonta quindi a oltre 2 kWh. Abbastanza per reintegrare le batterie fino alla prossima fermata.
Poiché le batterie devono contenere giusto l’energia necessaria per muoversi fra due fermate consecutive, più un piccolo margine di scorta, la loro dimensione può essere limitata, e così pure, di conseguenza, il loro peso e costo. In compenso la tecnologia della batteria deve sopportare, come abbiamo visto, una intensissima corrente di ricarica per riuscire in soli 20 secondi a reintegrare il livello energetico, pertanto è probabile che per questa applicazione le classiche batterie saranno soppiantate da soluzioni basate su ultracondensatori appena la loro tecnologia sara’ matura. Gli ultracondensatori sopportano senza difficolta’ correnti di carica/scarica elevatissime e per un numero virtualmente illimitato di cicli.
Ancora più interessante è però l’applicazione ai veicoli su ruote. I taxi possono ricaricarsi mentre si trovano nelle apposite piazzole di sosta, se opportunamente attrezzate. Le auto private possono ricaricarsi nei parcheggi dei supermercati. I furgoncini possono ricaricarsi nelle fasi di carico/scarico, se parcheggiati in aree apposite. E, naturalmente, la ricarica puo’ avvenire anche in marcia, se come accennato le spire induttive necessarie fossero integrate poco sotto il manto stradale.
Per le automobili e i veicoli leggeri, che possono approfittare delle soste in parcheggi e aree di carico/scarico, le correnti di ricarica ipotizzate si aggirano sui 10 kW, un flusso comunque più di 3 volte superiore a quanto possibile con una connessione a cavo a una utenza residenziale da 3 kW per la classica ricarica notturna nel box di casa. Naturalmente le batterie di bordo dovranno avere una capacità maggiore rispetto a quelle del “tram ricaricabile” visto che l’intervallo fra due occasioni di ricarica per l’auto o il furgone è maggiore di quello che intercorre tra due fermate di un mezzo pubblico, che sono uniformemente spaziate e avvengono con regolarità.
I dubbi da risolvere: il costo e i campi elettromagnetici
Naturalmente vari aspetti del sistema devono essere approfonditi. Fra questi, il costo non indifferente della realizzazione dell’infrastruttura di ricarica continua sulle corsie di marcia (e non solo su piazzole attrezzate in parcheggi o aree taxi o alle fermate dei mezzi pubblici), nonché la preoccupazione che in tale contesto, per un bug software o per un malfunzionamento, il campo elettromagnetico non venga correttamente disabilitato dopo il passaggio del veicolo, causando potenzialmente rischi al passaggio di veicoli non predisposti per la ricezione, ma pur sempre realizzati in metallo, e quindi in grado di captare, proprio come un’antenna, l’intensa emissione elettromagnetica, innescando correnti parassite nel telaio del veicolo con possibile rischio di accumuli di carica e quindi di scariche elettriche.
Per non parlare delle possibili implicazioni per la salute. Da tempo si discute della possibile nocività dei campi irraggiati dalle linee ad alta tensione vicine alle abitazioni; si pensi che il sistema di ricarica a induzione lavora a frequenze molto piu’ elevate, con emissione di campi intenzionalmente intensi e focalizzati proprio verso il veicolo, a bordo del quale, non dimentichiamolo, viaggiano delle persone.
Infine, ultimo ma non meno importante: chi paga l’energia? E’ immediato pensare che i veicoli, mentre passano sulle aree di ricarica, dovrebbero dialogare con esse non soltanto per attivarle ed innescare la ricezione del flusso di energia, ma anche per identificarsi e consentire l’addebito del costo dell’energia ricevuta sul conto del loro intestatario. Una sorta di SIM card energetica potrebbe essere integrata nel sistema, per identificare il titolare – pagatore della bolletta.
Tutte risposte che devono trovare convincente risposta se si vorrà che le amministrazioni locali prendano in considerazione l’idea di investire risorse nella realizzazione di questa affascinante infrastruttura di ricarica continua e “opportunistica” per veicoli elettrici.