Una tecnologia alternativa potrà dapprima affiancare e in seguito soppiantare le batterie tradizionali come “serbatoio di energia” delle auto elettriche
Il tallone d’Achille dell’auto elettrica è sempre lo stesso: l’immagazzinamento dell’energia a bordo. Oggi lo si fa con le batterie, dispositivi capaci di convertire energia elettrica in energia chimica (in fase di carica) e viceversa (in fase di scarica). Di fatto, in una batteria l’energia elettrica è utilizzata in fase di carica per provocare reazioni chimiche reversibili a carico della sostanza di cui sono composti gli elettrodi; i prodotti di reazione sono sostanze a cui è associata una energia chimica maggiore. Energia che può venire liberata quando, in fase di scarica, la reazione viene eseguita in senso contrario.
L’intensità della corrente che una batteria è in grado di erogare o assorbire (importante per un rapido “rifornimento”, che duri minuti anzichè ore, ma anche per poter fornire al motore picchi di energia quando occorre una forte accelerazione) dipende dalla velocità con cui tali reazioni possono avvenire. Poichè le reazioni richiedono materialmente il movimento di ioni attraverso l’elettrolita, ed avvengono sulla superficie degli elettrodi, la loro velocità è limitata da limiti fisici prima ancora che da limiti costruttivi. Una carica o scarica troppo veloce, inoltre, può danneggiare la batteria per surriscaldamento.
Un altro cronico problema delle batterie è quello della densità energetica rispetto al peso o rispetto al volume: sebbene nel tempo la tecnologia sia notevolmente migliorata (dagli accumulatori al piombo alle ultime varianti di batterie al litio si sono fatti passi da gigante), i valori raggiungibili sono ancora ben inferiori rispetto all’energia immagazzinabile nello spazio e peso ridotti di un serbatoio di benzina o gasolio.
Una tecnologia emergente che potrà rispondere a queste esigenze, dapprima affiancando la tradizionale batteria elettrochimica e lavorando in sinergia con essa, in seguito forse soppiantandola del tutto, è quella dei supercondensatori. Si tratta di versioni evolute dei condensatori (o capacitori), dispositivi che immagazzinano o rilasciano corrente elettrica accumulando direttamente carica (elettroni) e non attraverso reazioni elettrochimiche. Il parametro che ne misura la carica immagazzinabile in rapporto alla tensione applicata, e da cui dipende direttamente la densità energetica accumulabile, è detto capacità. Nei supercondensatori, grazie a particolari accorgimenti costruttivi, la capacità assume valori elevatissimi, consentendo di immagazzinare decine di Wh per kg di peso o per litro di ingombro. Finora la densità energetica dei supercondensatori non è ancora ai livelli delle più recenti batterie al litio, ma la densità di potenza, o l’intensità della corrente di carica/scarica, può essere anche 10-100 volte maggiore. Questo suggerisce di costruire un sistema misto in cui alla batteria è affidato il compito di stoccare quanta più energia possibile, anche se erogata o assorbita in modo relativamente lento, mentre il supercondensatore si occupa di gestire i picchi di erogazione (per accelerare) o di assorbimento (per recupero energia in frenata), facendo da intermediario.
E’ lo stesso principio con cui, in un computer, un hard disk, relativamente lento ma di grande capacità ed economico rispetto alla quantità di dati memorizzabili, viene affiancato da una cache memory, velocissima ma di capacità ridotta e costo elevato. Insieme, hard disk e cache creano l’illusione di un disco che è sia enorme sia velocissimo, a un costo solo di poco superiore a quello del disco.
Dulcis in fundo, il supercondensatore può ripetere quasi all’infinito questi cicli di carica-scarica, a differenza delle batterie la cui vita utile è piuttosto limitata.
Il supercondensatore si è già visto in azione in Formula 1, nelle versioni elettriche del dispositivo di recupero energia cinetica KERS, ma l’interesse è ovviamente per una sua introduzione commerciale su auto elettriche. Ed è recente la notizia di una start-up, FastCap Systems, americana ma promossa da un italiano, Franco Signorelli, che si occupa di produrre supercondensatori con prestazioni sempre più alte grazie all’uso di nanotecnologie per costruire la loro struttura interna portandone all’estremo la capacità.
In un futuro non troppo lontano i supercondensatori, già molto superiori alle batterie per densità di potenza e intensità di correnti di carica/scarica, potrebbero raggiungere e superare le batterie anche sull’altro parametro chiave, quello della densità energetica, trasformando in modo rivoluzionario le auto elettriche e la loro esperienza d’uso, per prestazioni, leggerezza e facilità di ricarica. I supercondensatori nanotecnologici sono ancora nella loro infanzia e i margini di miglioramento sono estremamente promettenti. Attendiamo con fiducia.
[…] importante questa acquisizione? Perché fa pensare che Tesla voglia accelerare nella direzione dell’ibridazione del pacchetto batterie, combinando assieme la capacità elevata in rapporto al peso e al volume delle batterie al litio […]
[…] Non ci stupiremmo che la velocità della ricerca di oggi superasse, e di molto, quella della ricerca di 10 anni fa, e che in un tempo non lungo le batterie al Sodio diventassero una concreta alternativa a quelle al Litio almeno per una prima serie di applicazioni non estreme. Dopo, si vedrà. Probabilmente le batterie elettrochimiche sigillate (qualunque formulazione abbiano) se la giocheranno con le flow cell, con le fuel cell, o con gli ultracondensatori del futuro. […]