A Forlì erano in corso i lavori fin dallo scorso marzo per installare nel parcheggio esterno del centro commerciale “Punta di ferro” una stazione Ionity e una stazione Tesla Supercharger, in ottima posizione per coprire gli itinerari da e per la Romagna. Dopo una fase di rallentamento per l’emergenza Covid, i lavori sono ripresi finché sono state attivate dapprima le 4 colonnine Ionity (una delle quali, al momento, fuori servizio) e poi, qualche giorno fa, anche quelle Supercharger.
Gli stalli Tesla Supercharger V3
Come da previsioni, per l’impianto Supercharger (predisposto per 20 stalli, per ora 4 installati e attivi) si tratta di stalli di tipo V3, il nuovo modello capace di erogare fino a 250 kW e senza l’abbinamento a coppie fra colonnine.
Nei “normali” impianti V2 la potenza massima è di “soli” 150 kW per ogni coppia di colonnine, quindi in caso di pieno utilizzo di tutti gli stalli di un sito (eventualita’ sempre meno remota, anche in Italia, con la continua diffusione delle Tesla Model 3) la potenza disponibile è di 75 kW per colonnina; quindi, in caso di stalli congestionati, il fatto che con il V3 si arrivi a 250 kW per singola colonnina rappresenta un più che triplicamento della potenza di picco rispetto ai Supercharger di generazione precedente (anche se in realtà è sfruttabile appieno solo nella prima fase della ricarica).
Per la rete Ionity quello di Forlì è un impianto come un altro, ma per la rete Tesla italiana la tecnologia V3 è una prima assoluta, per cui abbiamo voluto approfondire visitando l’impianto Supercharger di Forlì con una Tesla Model 3 Long Range con batteria carica al 45% circa (220 km di autonomia residua indicata) arrivando senza preriscaldamento della batteria (che invece sarebbe importante per consentire le migliori prestazioni di ricarica) e il processo è iniziato a 103 kW per poi fisiologicamente declinare con l’avvicinarsi del 100%.
A questo livello di prestazioni, per questo stato di carica iniziale della batteria e senza preriscaldamento, la potenza di ricarica osservata è stata simile a quella abitualmente ottenibile da un Supercharger v2 con preriscaldamento. Non male. In più non sarebbe andata diversamente anche se gli altri stalli adiacenti fossero stati tutti occupati (mentre con V2 la potenza è condivisa fra gli stalli A e B di ogni coppia).
Il preriscaldamento della batteria delle auto Tesla
Il preriscaldamento della batteria è un processo che Tesla prevede per consentire maggiori potenze di ricarica. Tuttavia secondo istruzioni si abilita solo in un modo, implicito: si deve impostare sul navigatore come destinazione una stazione di ricarica (inizialmente poteva essere solo un Supercharger, mentre con un recente aggiornamento software vale anche per altri tipi di impianto). Cosi’ facendo, qualche minuto prima dell’arrivo il software Tesla attiva automaticamente il preriscaldamento della batteria, che viene segnalato da un messaggio sull’infotainment.
Chiaramente l’impianto deve esistere nel database del navigatore perché ciò sia possibile, e qui c’è un piccolo giallo: l’impianto di Forlì, anche se funzionante, fino alla mattina del 28 luglio non era ancora mostrato né dal navigatore di bordo né dall’app. Quindi quando abbiamo eseguito il test non c’era modo (almeno, non c’era modo ufficiale) per arrivare all’impianto con la batteria preriscaldata, e di conseguenza non si può essere sicuri che le prestazioni di ricarica che abbiamo osservato siano le massime ottenibili con un impianto V3. A meno di non usare un trucco suggerito dalla community: se nel navigatore di bordo si cerca “Fast charger Punta di Ferro” l’impianto compare nei risultati e può essere impostato come destinazione.
In rete sono infatti già comparsi da un paio di giorni dei video di utenti che, quasi certamente arrivando con batteria molto scarica e probabilmente sfruttando il suddetto trucco, sono riusciti a vedere per un breve periodo potenze di 250 kW.
Il tentativo di ricarica
Abbiamo provato anche noi: niente da fare, l’impianto (al 29 luglio) risultava ancora sconosciuto al navigatore come impianto Supercharger; risultava conosciuto solo come impianto di ricarica a media potenza (filtro = due “saette”), e non trattandosi nemmeno di un Destination Charger, evidentemente il software non ritiene che sia un impianto candidabile per la funzione di preriscaldamento automatico. Infatti siamo arrivati sul posto senza che sia mai comparso il messaggio del preriscaldamento. In compenso abbiamo fatto in modo di arrivare con batteria al 5% (solo 25 km di autonomia residua indicata).
Il risultato è stato comunque positivo. L’impianto, subito dopo il collegamento, è partito con molta cautela (57 kW, 375 km/ora guadagnati) per poi salire nel giro di pochi secondi a 85-90 kW (560-590 km/ora).
Dopo 1-2 minuti la potenza aveva già raggiunto il suo picco di 251 kW (1646 km/ora guadagnati); questo livello è stato mantenuto, con minime fluttuazioni, fino a quando sono stati raggiunti, in brevissimo tempo, all’incirca i 100 km di autonomia. Successivamente la potenza assorbita ha cominciato a calare. Questo il trend complessivo:
Autonomia raggiunta (km) | Potenza istantanea assorbita (kW) | Tasso incremento autonomia (km/ora) |
25 | 86 | 563 |
32 | 90 | 590 |
42 | 219 | 1440 |
58 | 250 | 1645 |
90 | 251 | 1646 |
100 | 243 | 1595 |
129 | 153 | 1002 |
150 | 130 | 853 |
270 | 87 | 574 |
400 | 49 | 321 |
420 | 44 | 286 |
440 | 34 | 225 |
450 | 29 | 194 |
460 | 24 | 156 |
470 | 16 | 108 |
480 | 10 | 63 |
490 | 3 | 20 |
L’effetto positivo del nuovo Supercharger V3 si vede in modo eclatante in questo grafico sopra. Grazie al forte picco di potenza iniziale, partendo da batteria quasi scarica si guadagnano 250 km in soli 10 minuti. Abbastanza per raggiungere, con buon margine, il prossimo Supercharger (la distanza media fra due impianti è ben inferiore). Aspettando invece 25 minuti l’autonomia arriva a ben 400 km. Ulteriori attese non sono piu’ vantaggiose, salvo casi di reale necessita’, dato che la carica progredisce molto lentamente.
Per quanto riguarda la tecnologia, gli stalli Supercharger V3 differiscono dai V2 anche esteriormente per la presenza di un unico cavo, quello munito di connettore Ccs. Quindi adatto alla Model 3 e alla futura Model Y, mentre per le Model S e X occorre un apposito adattatore o retrofit; con impianti V2 invece dispongono di un secondo cavo adatto per la loro presa. Ne parliamo in articolo a parte.
Il cavo, nonostante la potenza (in particolare l’amperaggio) circa 1,6 volte maggiore di quella dei V2, non è di sezione molto diversa, sebbene secondo alcune fonti disponga di un sistema di raffreddamento a liquido.
Il primo gruppo di 4 stalli è servito da un unico armadio contenente l’elettronica di potenza necessaria per erogare il necessario amperaggio su una tensione di 400V DC. È quindi interessante esaminare la targhetta con i parametri elettrici dichiarati.
Uno sguardo alle caratteristiche del Supercharger V3
Prodotta nella Gigafactory di Buffalo, nello stato di New York, ad aprile 2020, l’unità ha come ingresso AC un allacciamento trifase alla rete, da cui accetta tensioni nominali fra 380 e 480 V e assorbe una corrente massima di 430 A, per una potenza massima continua di 350 VA (in caso di attestazione a 480 V); per un sistema trifase con fattore di carico=1 il conto torna.
È menzionato anche un ingresso in corrente continua (potrebbe forse essere riferito al caso in cui vi sia anche una fonte di energia DC, come un impianto fotovoltaico presente in diverse stazioni Supercharger, oppure, ancor più ipoteticamente, al caso in cui i veicoli collegati siano coinvolti in uno schema V2G e possano cedere energia alla rete) è indicato un input di 575 kW su un intervallo di tensioni compreso fra 880 e 1000V e una corrente massima di 640A. In uscita è invece indicata una potenza di 250 kW, un intervallo di tensioni compreso fra 0 e 500 V e una corrente di 631 A.
Valori la cui interpretazione richiede un approfondimento con Tesla perché anche assumendo un rendimento del 100%, con una potenza massima assorbita di 350 VA non è possibile erogare contemporaneamente 250 kW DC verso ognuna delle 4 colonnine: (occorrerebbe supportare una corrente di picco di 1 MW). Vorrebbe dire che pur non esistendo più (com’era in v2) la condivisione della potenza di 150 kW su una coppia di stalli, vi sarebbe comunque una condivisione, in questo caso quella di 350 kVA fra 4 stalli; se fosse confermato vorrebbe dire che come erogazione continua, a livello aggregato, non sarebbe molto più potente di un impianto V2 da 4 stalli. L’unica vera novità sarebbe che, condizioni a monte e a valle permettendo, l’impianto sarebbe in grado di erogare 250 kW verso una colonnina. C’e’ da dire che il battery management system di bordo non consente di caricare a 250 kW per tutto il tempo della ricarica, ma per proteggere le celle comincia ben presto a far decrescere la potenza massima accettata.
Quindi in realtà il caso in cui realmente si sentirebbe la mancanza di 4×250 kW è piuttosto remoto: dovrebbero arrivare contemporaneamente 4 Model 3 LR o Performance (unici modelli Tesla a poter attualmente accettare 250 kW), tutte e 4 con batteria molto scarica, tutte con preriscaldamento batteria effettuato; dovrebbero collegarsi insieme a questi 4 stalli che afferiscono a uno stesso armadio (ma in prospettiva il sito crescerà fino a 20 stalli e 5 armadi) e iniziare più o meno contemporaneamente a caricare. Solo in questo caso piuttosto improbabile, e comunque solamente per pochi minuti, 10 al massimo (poi la potenza decresce a livelli V2 anche se si e’ in beata solitudine) si potrebbe notare che la potenza di ricarica non sale molto oltre i 100 kW. Verificheremo con Tesla se le cose stanno davvero così.