1 marzo, scattata l’ecotassa. Ma contro chi o cosa?

Attivi anche nel nostro Paese ecobonus ed ecotassa, ma esattamente quest'ultima che categorie di auto penalizza?

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1 marzo 2019. A proposito del provvedimento sugli incentivi per l’acquisto di auto nuove, con o senza rottamazione, abbiamo soprattutto parlato dell’ecobonus, il lato “premiale” del provvedimento, che è anche la parte più interessante per chi è sintonizzato sul mondo della mobilità sostenibile e magari stava già pensando di acquistare in futuro una ibrida, una plug-in o una elettrica.

Ma accanto al lato “premiale”, per la cui implementazione alcuni aspetti non secondari come i decreti attuativi e la piattaforma informatica di gestione non sono ancora completi, il provvedimento ha anche un lato “punitivo”, il cosiddetto ecomalus (o ecotassa), semplice e immediatamente operativo. Una sovrattassa costruita per penalizzare .. chi? o che cosa? Vediamo.

L’inquinamento che sarà tassato

In teoria, nello spirito del provvedimento, dovrebbe colpire le auto inquinanti. Ma qui tutto sta a intendersi sull’accezione di “inquinanti”.

Per i Comuni, ad esempio, l'”inquinamento” che interessa è soprattutto quello che peggiora la qualità locale dell’aria: in primis, particolato e ossidi di azoto. Così hanno calibrato i provvedimenti restrittivi (e anche i proclami ideologici) per colpire i diesel, molto più che i benzina. A Milano, per esempio, da qualche giorno sono ormai soggetti a blocco per tutto l’arco dell’anno gli euro 3 diesel (da ottobre anche gli euro 4 diesel lo saranno), però possono ancora circolare i benzina euro 1.

Per il Governo, che invece evidentemente ha ritenuto di dover guardare a tematiche macroclimatiche e non all’aria che respiriamo, l’accezione dell'”inquinamento” che si vuole ridurre è quella di “emissioni di gas serra che contribuiscono al riscaldamento globale”, e così le soglie sono state definite guardando alla CO2 emessa durante la marcia e non agli “inquinanti locali”.

Le soglie scelte per l’ecotassa

Ma allora si poteva essere più aggressivi, dato che con la soglia del primo livello di ecomalus fissata a 160 g/km di CO2, la stragrande maggioranza delle auto termiche di massa (specie grazie ai motori diesel) evita il balzello e può, complessivamente, emettere quantità molto significative di CO2 (specie considerando il gran numero di auto vendute).

161-175 g/km1.100 euro
176-200 g/km1.600 euro
201-250 g/km2.000 euro
oltre 250 g/km2.500 euro

Risultano colpite, fondamentalmente, tre categorie di veicoli, che indubbiamente superano il limite, ma che per il loro numero relativamente ridotto non danno luogo a grandi quantità assolute di emissioni CO2: sono le auto supersportive; le auto particolarmente grandi e pesanti mosse da motori di grande cilindrata (in questo caso anche diesel), come certi maxi SUV; e infine auto anche non particolarmente grandi e potenti, ma svantaggiate dall’essere equipaggiate con motori a benzina, come la Giulietta 1.4 benzina 120 CV che però dichiara emissioni di 164-168 g/km (e ci aspettiamo che presto verrà riomologata con le necessarie modifiche al motore per rientrare nei limiti esenti da ecomalus).

Acquistare un’automobile nuova nell’era dell’ecotassa

Così a chi deve acquistare un’auto, ma per le esigenze di chilometraggio quotidiano o per il fatto di abitare in un territorio non ancora adeguatamente infrastrutturato non vede ancora le condizioni per puntare su una plug-in o una elettrica, e per esclusione deve quindi puntare su una termica, può presentarsi un piccolo dilemma:

Dribblare l’ecomalus acquistando oggi un diesel, ma rischiando che già fra pochi anni subisca restrizioni nella circolazione nella propria città, perdendo oltretutto valore al momento della permuta?

Evitare i blocchi della circolazione scegliendo un modello a benzina, anche se in vari casi ciò significa subire l’ecomalus?

Forse in questi casi le uniche opzioni che restano sono le ibride “normali” (non plug-in) oppure le auto a metano/GPL; queste ultime, naturalmente, hanno anch’esse esigenze legate alla presenza di infrastrutture, anche se la situazione della rete distribuzione gas auto è meno critica rispetto a quella della diffusione di colonnine per le auto elettriche.

Il provvedimento nel suo complesso:

  • penalizza in sostanza più le auto a benzina che le auto a gasolio, con una filosofia punitiva che funziona al contrario rispetto a quella messa in atto dai Comuni e che genera grossi dubbi in chi debba oggi scegliere un’auto nuova e che per qualsiasi motivo non possa o non voglia optare per una elettrica o una plug-in
  • pur essendo chiaramente mirato alla riduzione delle emissioni di gas serra, lo fa colpendo simbolicamente la fascia alta ma lasciando del tutto esente la fascia media, che è proprio quella responsabile del grosso delle emissioni: quindi non riduce in modo significativo le emissioni totali, ma punta soprattutto a “mandare un messaggio”, utilizzando le imposte incassate dall’ecomalus per finanziare l’ecobonus. Non a caso, quando si è alzata la soglia di scatto dell’ecomalus a 160 g/km per “salvare la Panda”, parallelamente si è dovuta abbassare a 70 g/km la soglia da non superare per avere diritto all’ecobonus. Ecomalus ed ecobonus più o meno si bilanciano dal punto di vista erariale, dando l’impressione che si sia soprattutto puntato a un provvedimento che risultasse complessivamente a costo zero per lo Stato.

Il trucchetto del microibrido e i paradossi dell’applicazione dell’ecotassa

Si può ritenere che gli effetti del provvedimento bilanceranno la linea dei Comuni prolungando la vita alle diesel (anche auto medio-grandi, dato che solo con un diesel possono rientrare nei limiti, se non sono elettrificate), favoriranno fra le benzina i modelli di bassa potenza, ma soprattutto potrebbero provocare un boom delle ibride; ci aspettiamo soprattutto un boom delle microibride, auto dalla vocazione green un poco opinabile, che a fronte di un sovrapprezzo limitato possono ridurre le emissioni, in sede di omologazione, di quanto basta per mantenere sotto la soglia critica anche motori di potenza non indifferente, e per consentire di “entrare in centro essendo ibrida” dato che allo stato attuale non risulta che alcun Comune abbia cominciato a fare distinzioni tra mild hybrid, ibride tradizionali e ibride plug-in.

Colpisce ad esempio vedere come sul mercato vi siano modelli (anche a benzina) che pur rimanendo al di sotto dei 160 g/km hanno potenze notevoli; per esempio la motorizzazione Audi 45 TFSI benzina da 245 CV (144-150 g/km), o la 50 TDI diesel da 286 CV (150-156 g/km) evitano entrambe l’ecomalus. Potenza del microibrido! Riprendendo l’esempio della Giulietta a benzina da 120 CV che dichiara 164-168 g/km e invece l’ecomalus lo paga, viene infatti spontaneo chiedersi come sia possibile che un motore a benzina con potenza doppia abbia emissioni inferiori. Ma se si considera la motorizzazione Audi 35 TFSI da 150 CV, la più simile a quella della Giulietta, si vede che dichiara solo 129-135 g/km: ben il 20% in meno. Maggiore efficienza termodinamica ai medi regimi? Oppure ciclo di omologazione che per durata e regole ben si attaglia alle caratteristiche di certe motorizzazioni più che ad altre?

Ad esempio, se il ciclo di omologazione è congegnato per durare troppo poco (e l’NEDC dura 20 minuti e copre in tutto 11 km), un veicolo ibrido plug-in partito con batterie completamente cariche potrebbe riuscire a completare il ciclo senza quasi mai chiamare in causa il motore termico. Solo così si spiegano degli exploit stupefacenti e suggestivi come quello della Volvo XC90 ibrida, oltre 2 tonnellate di massa, sezione frontale da SUV, motore termico a benzina da 320 CV, eppure nel ciclo combinato è omologata per soli 2.1 litri/100 km (quasi 50 km/litro!).

I modelli microibridi naturalmente non hanno una batteria abbastanza capace per poter replicare simili exploit (inoltre generalmente non prevedono affatto la marcia in modalità 100% elettrica, nemmeno per brevi tratti), tuttavia il (modesto) beneficio che possono offrire riguarda soprattutto la marcia in città; così, se per come è concepito il ciclo di omologazione la marcia in città “pesa” più di quella extraurbana, l’effetto su consumi omologati ed emissioni omologate può risultare impropriamente amplificato rispetto all’effettivo impatto che il sistema ha nell’utilizzo reale.

Valutare la sola CO2 non basta

In conclusione, poichè l’ecobonus-ecomalus si basa su un sistema di soglie ed è calibrato sul valore di emissioni CO2, valore che a sua volta è definito in base a un ciclo di omologazione che ha caratteristiche tali da generare distorsioni anche macroscopiche rispetto alla realtà, probabilmente si sta guardando a un obiettivo nobile e condivisibile, ma con un mirino storto e sfuocato. Dei massicci Suv bitonnellata con motore diesel, o dei modelli anche di notevole potenza ma con sistema ibrido (anche solo microibridi) riusciranno a sfuggire all’ecomalus, mentre delle normalissime auto medie con motore a benzina non elettrificato lo subiranno (stava per capitare anche alla Panda, come si sa).

Il fatto poi che l’ecobonus-ecomalus punti a salvare il clima globale attraverso una soluzione ridistributiva a costo zero e quindi guardi alla CO2 e al prezzo, mentre i sindaci puntino alla salute pubblica e quindi abbiano messo nel mirino le emissioni di particolato e gli ossidi di azoto, colpendo il tipo di motore e non dando invece alcuna importanza alla potenza, alle emissioni o al prezzo, crea una situazione confusa in cui l’intreccio di vincoli e l’incertezza sull’evoluzione futura creano dubbi e ritardano le scelte d’acquisto.

Anzi, non ci stupiremmo di vedere calare le vendite a vantaggio di un mini-boom del noleggio a lungo termine: una soluzione che permette di non dover decidere nell’incerto quadro attuale, e anche di dare tempo all’auto elettrica di avvicinarsi maggiormente a dei livelli di costo abbordabili, e all’infrastruttura pubblica di ricarica di raggiungere una copertura decorosa.


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