I 6 comandamenti della transizione energetica

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Meriti e demeriti delle varie tecnologie di generazione di energia vanno valutati sulla base di criteri oggettivi e quantitativi. Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad una successione di proclami dal contenuto tecnico risibile. Per mettere i Paesi nelle condizioni ideali per un futuro energetico migliore nel rispetto della natura, però, si può seguire un percorso in sei passi.

1°: Il consumo di energia è un indicatore di benessere

Tra consumo energetico pro-capite e reddito medio esiste una fortissima correlazione che in molti conoscono.

In altre parole, la ricchezza energetica può essere considerata sinonimo della ricchezza tout court.

Non tutti invece conoscono il nostro compatriota esperto di statistica Corrado Gini, che nel 1912 pubblicò un paper scientifico che definiva ciò che da allora viene chiamato il “Gini-index” ovvero un indice che misura la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi in un dato Paese. 

Mettendo in relazione il consumo energetico pro-capite ed il Gini index si ottiene un altro grafico.

Guardandolo, si può derivare una conclusione: i Paesi a più alto consumo energetico – essendo più sviluppati anche da un punto di vista di politiche sociali – mettono in atto misure volte a ridurre le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza stessa.

2°: Generare energia altera l’ambiente

Questo non lo dice la propaganda green, ma l’arida fisica: vale la pena di ricordare che la quantità di energia in qualsiasi sistema chiuso è costante e dunque è sbagliato parlare di “generare” energia, in quanto la stiamo in realtà solo trasformando da una forma ad un’altra più utile perché più facilmente convertibile in lavoro, ovvero a minore contenuto entropico. Ciononostante, continueremo a parlare di “generazione” di energia anche in questo articolo, in omaggio alla sua accezione più diffusa.

Rimuovere entropia è un’attività “contro Natura”. Nel nostro sistema chiuso il contenuto di energia è costante, quindi il contenuto di entropia non può che aumentare: è dunque evidente che qualsiasi sia questa trasformazione, essa provocherà alterazioni macroscopiche sull’ambiente che fa parte del sistema chiuso. Le alterazioni possono essere di tipo chimico (come avviene bruciando un combustibile fossile) ma anche acustiche (come avviene quando una pala eolica intercetta il vento) e anche estetiche (come avviene per qualsiasi tipo di impianto).

“Impatto zero” dunque non è che uno slogan, perché mentre possiamo interrogarci su come minimizzare questo impatto, esso non potrà mai essere nullo: da questo punto di vista le alterazioni chimiche sono le più dannose perché, una volta creata, la molecola di gas serra si disperde nell’atmosfera rendendo la sua neutralizzazione difficile e costosa.

Ciò però non significa che dobbiamo ignorare le altre due, perché est modus in rebus: eviteremo perciò di installare una gigantesca wind farm nei pressi di una casa di riposo o di coprire un meraviglioso paesaggio collinare con distese di pannelli solari senza però nascondersi dietro l’ipocrisia di pensare che una diga o un campo di pozzi petroliferi non abbiano impatti visivi.

3°: L’efficienza energetica va perseguita ossessivamente 

L’energia più verde è quella che non si consuma affatto ma, purtroppo, i due terzi dell’energia primaria consumata da una qualsiasi società avanzata finisce sprecata. Questa infografica si riferisce agli Stati Uniti, (lo si capisce dall’arcana unità di misura usata) ma le proporzioni sono grosso modo le stesse in qualsiasi Paese sviluppato.

Da ogni nodo che rappresenta un grande capitolo d’uso dell’energia primaria (generazione EE, residenziale, commerciale, industriale e trasporti) escono in grigio scuro la quota di energia effettivamente impiegata (per riscaldare, muovere, azionare macchinari) e, in grigio chiaro, la quota di energia sprecata: le efficienze (cioè il rapporto tra energia utilizzata e totale in ingresso) vanno dal quasi 50% del settore industriale a circa il 20% nei trasporti.

In particolare, è noto che il migliore dei motori a combustione non supera il 35% di efficienza, mentre qualunque motore elettrico supera agevolmente l’85%, dunque – a titolo di esempio – se tutti i mezzi di trasporto negli USA fossero elettrici, per fare lo stesso movimento che fanno oggi non sarebbero più necessari i 6.800 TWh di energia odierni, ma solo 2.000: la differenza (circa 4.800 TWh) semplicemente non si consumerebbe più, grazie alla maggiore efficienza dei motori elettrici.

Nell’immagine si parla di “quad”, ovvero quadrillion (10^15) di BTU, ciascuno dei quali vale 293 TWh.

Potremmo dire che la transizione energetica non sia altro che la ricerca di modi per diminuire la dimensione del blocchetto grigio chiaro. In questo senso, la parola d’ordine è elettrificare tutto l’elettrificabile.

4°: L’energia va generata vicino a dove la si usa

Uno dei grandi vantaggi di sole e vento, ovvero le moderne Fer (fonti energetiche rinnovabili), è la loro estrema scalabilità. La prova migliore viene dalle abitazioni: una villetta può essere facilmente resa indipendente dalla rete tramite una accorta combinazione di pannelli solari e batterie. Certo che il costo al kWh diminuisce in modo importante all’aumentare della potenza di picco dell’impianto, ma tecnicamente pannelli e batterie sono costituiti (qualunque sia la dimensione dell’impianto) da un numero grande o piccolo di blocchi tutti identici.

Naturalmente però, non tutte le abitazioni hanno a disposizione un tetto dove installare i pannelli solari (si pensi agli appartamenti di un edificio costituito da molti piani) oppure – in ambito industriale – l’assorbimento di energia può essere talmente elevato da rendere impossibile provvedervi localmente (ad esempio una acciaieria).

In conclusione, le “mappe” di consumo e generazione non sono mai sovrapponibili, creando la necessità di trasportare l’energia dal luogo ove viene generata a quello ove viene consumata.

Il trasporto di energia aumenterà man mano che la produzione di energia elettrica viene decarbonizzata. In linea di principio potremmo installare una centrale a combustibile fossile o nucleare quasi ovunque: l’unico requisito veramente indispensabile per qualunque centrale di generazione che abbia uno stadio vapore è l’abbondante disponibilità di acqua. Questo non è vero per molte fonti rinnovabili; non si può generare energia idroelettrica là dove non ci sono acqua e dislivelli e, mentre Sole e vento sono dappertutto, il pannello fotovoltaico e la pala eolica che li trasformano in energia elettrica costano lo stesso, sia che funzionino 900 ore l’anno (come un pannello solare sulle Alpi) piuttosto che 3.000 (come una pala eolica al largo della Sicilia): è questa la ragione per cui gli investitori che finanziano la realizzazione di impianti di generazione di energia elettrica hanno già deciso dove realizzarli per massimizzare i propri ritorni economici.

5°: La rete di distribuzione dell’energia è l’infrastruttura più strategica che esiste

Cos’è una infrastruttura strategica? Il termine viene di solito usato per indicare reti adibite al trasporto di entità materiali o immateriali: la rete di trasporto delle informazioni, quella di trasporto delle merci, dell’acqua e, naturalmente, dell’energia.

Mentre il valore strategico delle prime è ben compreso, la rete di trasporto dell’energia è fino ad oggi stata vista come una mera attività tecnica, molto complicata e perciò affidata agli ingegneri.

La mia opinione è che in realtà questa sia la “madre di tutte le infrastrutture strategiche”: in fin dei conti senza autostrade (ma persino senza strade asfaltate) ci si può muovere lo stesso, anche se con maggiore difficoltà; le reti di trasmissione dati su cavo sono state affiancate, completate e talvolta sostituite da reti cellulari e satellitari, l’acqua potabile può essere trasportata con cisterne, ma senza energia?

Impossibile illuminare, conservare il cibo e, in un mondo sempre più elettrificato, progressivamente anche scaldarsi. Dal momento in cui si esaurisce il combustibile nei serbatoi dei gruppi di continuità, ammesso che siano stati previsti, in pochi secondi, ore o giorni al massimo si fermerebbero ospedali ed aziende. Si fermerebbero persino le pompe, che servano per la benzina o per far circolare il gas nelle condutture. Una volta scaricate le batterie, ovvero in una settimana al massimo, si fermerebbero tutti i computer e tutti i telefonini. Tutte le reti di comunicazioni di qualsiasi generazione cesserebbero di esistere, isolando chiunque non sia a portata di voce e distruggendo qualsiasi catena di comando. Ogni mezzo di trasporto (tranne quelli a trazione animale) cesserebbe di muoversi. Probabilmente solo i militari manterrebbero la possibilità di muovere mezzi e soldati per un tempo più lungo grazie a riserve di combustibile stoccate chissà dove, ma anche per loro la possibilità di comunicare verrebbe progressivamente a mancare, rendendo difficile il coordinamento.

Questo futuro distopico non può avverarsi con la perdita di uno o più impianti di generazione, per quanto importanti possano essere. E’ ipoteticamente possibile una situazione nella quale un intero Paese si appoggi ad un unico impianto di generazione per tutto il Paese, una situazione a cui dovrebbero pensare con molta attenzione i tanti che sperano nella fusione nucleare. Anche avendo una normale distribuzione di impianti sul territorio, questi sono tra loro collegati da una rete e se questa diventa inattiva si perde l’intera capacità energetica del Paese.

Fortunatamente siamo lontani da un single point of failure. Ad esempio, le situazioni in cui l’energia viene prodotta dove è consumata non avrebbero problemi, e uno dei concetti fondamentali di ogni rete sono i meccanismi di re-instradamento, grazie al quale l’aggiramento di segmenti, rami o nodi non funzionanti è di solito una questione di poche ore.

L’attuale rete di trasporto italiana è, a mio parere, tra le migliori del mondo, ed è oggetto di un ambizioso programma di potenziamento ed ammodernamento delle sue dorsali principali sulle direttrici costiere Sud-Nord con il dispiegamento progressivo di tecnologia HVDC, ovvero in corrente continua, oggi più efficiente e moderna di quella in corrente alternata.

Pur con questi distinguo, un diffuso malfunzionamento della rete di trasmissione dell’energia avrebbe conseguenze talmente cataclismiche da richiedere che essa (o almeno le sue dorsali principali) debba rimanere saldamente in mano pubblica: purtroppo l’enorme valore e unicità di questo asset potrebbe indurre in tentazione qualche politico ansioso di far quadrare il bilancio. La parola d’ordine, dunque, è vigilanza!

6°: Le tecnologie vanno valutate senza preconcetti

La regola è valida per qualsiasi tecnologia. In particolare, questo articolo parla di generazione a basse emissioni. Stiamo assistendo alla maggior trasformazione dall’epoca della Rivoluzione Industriale. Renderla una questione di casacca, per cui se sei di destra apprezzi combustione interna e nucleare e se sei di sinistra apprezzi auto elettriche e rinnovabili, è veramente il modo più sicuro per commettere errorri gravissimi ed usare male le risorse disponibili.

I meriti ed i demeriti delle varie tecnologie di generazione a basse emissioni vanno valutati sulla base di criteri oggettivi e quantitativi: il miglior modello di cui disponiamo oggi, a mio parere, è il Levelized Cost of Energy, usato ad esempio dalla banca di investimenti Lazard. Nel suo rapporto annuale pubblica  il grafico-chiave che segue.

Come si vede, il grafico non decide chi sia meglio o sia peggio, ma indica intervalli di valori entro i quali si posizionerà ogni singolo impianto che stiamo valutando.

Questi valori evolvono nel tempo, ed in particolare alcune tecnologie beneficiano della Legge di Wright (costi che diminuiscono all’aumentare dei volumi di produzione), mentre su alcune altre gravano costi indiretti sempre maggiori, man mano che i costi ambientali vengono (correttamente) compresi nel computo.

Un altro risultato utile che deriva di questo approccio è quello di separare gli investimenti dai costi di esercizio, mettendo in evidenza che, per alcune tecnologie come nucleare, sole o vento, i costi di esercizio siano minimi, il che comporta che, una volta costruiti, gli impianti che impiegano queste tecnologie vadano mantenuti in esercizio il più a lungo possibile (naturalmente in condizioni di sicurezza).

Questo vale in particolare per gli impianti nucleari, la cui dismissione anticipata non obbedisce ad altra logica che non sia la cieca ideologia politica.

Ovviamente, può darsi che esistano altri “comandamenti” come questi: se chi legge ha qualche idea da candidare, sarei lieto di ascoltarla: gianni@onewedge.com.


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